venerdì 3 gennaio 2014

Mamma dixit – intercettazioni creative. Tre colpi di testa.


Inizia un nuovo anno. Tempo di rivoluzioni e cambiamenti.
Da dove parte ogni grande trasformazione di una donna? Dai suoi capelli, lo sanno tutti.

Ma non per me.

Sfogliando i vecchi album di foto, salta all’occhio una cosa evidente: da quando mi sono spuntati i primi capelli in testa, io e la mia frangetta siamo inseparabili.

Foto di classe all’asilo: caschetto preciso e frangetta tagliata di netto. 

Foto di Natale: io e mia mamma vestite nello stesso modo (incomprensibile passione di famiglia), codini e frangetta in bella vista.

Prima comunione: io, una tunica bianca e la mia frangetta.

Saggio di danza: immancabile tutù, immancabile chignon. Immancabile frangetta.

Gita scolastica alle cascate di non so dove: capelli al vento e frangetta sparata a raggiera.

Festa di carnevale: l‘unico gatto con la frangetta, ero io.


Ma ci sono stati momenti in cui ho pensato di farcela anche senza di lei.
Con questi risultati. 


1. Prima che il taglio “alla maschietto” fosse richiesto perfino a Hollywood, la sottoscritta ci era già passata. Avevo più o meno 11 anni, dopo interminabili negoziati con mio padre, ero riuscita a far entrare un gattino in casa. 
Non senza rinunciare a qualcosa. Ai miei capelli. 
A tutti i papà del mondo piacciono le loro bambine con lunghi capelli ben pettinati, al mio no: piaceva il soldato Jane. Ovviamente non avevo mai assecondato questa sua fissazione, fino a quando non ho dovuto barattare qualcosa. Così, mentre Rambo, un magnifico trovatello nero con occhi gialli girasole, faceva il suo ingresso in casa, io mi facevo tagliare i capelli. Ricordo solo che per un po’, nel nostro palazzo, girava voce che si fosse trasferita una nuova famiglia con un bambino tanto carino… la stranezza era che tutti continuavano a vedere solo lui, ma dei genitori neanche l’ombra. 
Ero io quell’orfanello!
Avevo rimosso quella vergogna, fino a qualche tempo fa. Quando una foto di quel periodo non è capitata sotto gli occhi di Marco, che l’ha indicata, dicendo: “ciao, ciao papà…”.

2. Noi donne siamo famose per desiderare sempre quello che non ci è toccato in sorte. A partire dai nostri capelli: così chi ha i capelli lisci, fa di tutto per smuoverli un po’, chi deve fare i conti con la criniera del Re Leone, passerà la vita cercando di domarla come può.
Io rientro nella categoria capelli lisci, praticamente spaghetti.
Verso i 15 anni, mi ero messa in testa di cambiare quel piattume e di affidarmi a uno di quei parrucchieri che promettono miracoli. 
Morale: ai miracoli non ci credo. E i miei capelli ne sono la prova.
Un barboncino aveva trovato la sua cuccia sulla mia testa. Un barboncino conciato male per giunta e pure parecchio incazzato, perché non c’era verso di domarlo. 
Ed era anche il momento più sbagliato per rivoluzionare i miei capelli: proprio in quei giorni dovevo scattare la foto per il mio primo documento d’identità. 
Eccoci lì, io e il barboncino davanti all’obiettivo. 
E per cinque anni, chiunque guardasse la mia carta d’identità non poteva resistere dal chiedermi perché, al mio posto, ci fosse Moira Orfei.

3. E per finire, un caso in cui la frangetta era presente, ma avrebbe tanto voluto non esserci. Sempre agli inizi degli anni ’90, ho deciso di cotonarla: tre strati di bombatura, crostificati da una lacca extra forte che ne impediva qualunque mutazione. La serata poteva durare quanto volevo, i miei tre piani di frangia sarebbero durati di più.

Chiudendo l'album, mi sono fatta una promessa: tante cose possono cambiare quest'anno.
Non la mia frangetta.


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