venerdì 31 gennaio 2014

Lettera di altri tempi.

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Ciao tu che strisci il ditino sulla tv per cercare di allargare l’immagine. Che conosci il mio smartphone meglio di me. Che parli in Skype con i nonni e non ti sembra affatto strano.

Quante cose conoscerai, ancor prima che io sappia che esistono.

Forse ti stupirai di non poter cliccare su una pagina di giornale e che un libro sia fatto di carta.

Ieri, al parco, dei bambini di neanche 6 anni ti hanno chiamato “bambinetto”. Ho pensato che anche loro ti vedevano già di un’altra generazione e, forse, tu li guardavi come dei vecchietti.

Mi pare che tutto stia correndo veloce e che il ritmo lo conosca solo tu.
Tu che qui sei nuovo, ma che sembri conoscere già tutto.

Forse avrai più amici sui social network che amici in carne e ossa. Crescerai pensando che l’amicizia si possa chiedere e che basti andare su “accetta” per saldare il legame.

Scrivere una lettera ti sembrerà preistoria. “Cosa ci faccio con più di 140 caratteri?”

Sai che c’è stato un tempo in cui i tasti del telefono non si schiacciavano ma si giravano? E se sbagliavi un numero dovevi ricominciare tutto da capo.

Addirittura, una volta, rispondevi al telefono senza sapere chi ti stava chiamando. E, agli appuntamenti, dovevi essere molto preciso, perché potevi girare intorno a una statua anche per ore, senza incontrarti mai.

Oggi ho letto una cosa, caro il mio bambinetto del futuro, riguarda il mio lavoro ma penso che possa insegnare qualcosa anche te.

“Le idee migliori si basano su semplici verità.” (Karpat Polat – Presidente e direttore Creativo DDB&Co. Istanbul)


Ti innamorerai e soffrirai,
lascerai e verrai lasciato,
perderai qualcuno a cui tieni,
e conoscerai persone incredibili,
ti ubriacherai di alcool e di idee,
ascolterai una di quelle canzoni che ti lasciano il nodo allo stomaco,
non riuscirai sempre a raggiungere quello che vuoi,
e a volte ti perderai per strada,
altre, scoprirai quanto è bello perdersi in un sorriso,
avrai bisogno di un amico,
proverai rabbia,
frustrazione e indifferenza,
avrai paura di invecchiare e che le persone vicino a te invecchino per prime,
temerai la distanza,
e soffrirai di nostalgia,
vorrai scappare,
potrai sentirti solo anche in mezzo a un sacco di gente.
E poi, troverai chi non ti farà sentire solo. Mai.



Ecco, questa è la mia semplice verità. 
Di una mamma nata negli anni che iniziavano con uno e non con due.
Di una vecchietta che sorride, mentre tu cerchi di cambiare canale strisciando il dito sulla tv.

mercoledì 29 gennaio 2014

Mamma dixit – intercettazioni creative. Una mamma con la k.


Inizia tutto con un gruppo di no-qualcosa (no-tav, no-global, no-n so) che occupa un edificio abbandonato, proprio nella nostra via.


“Ok, però adesso la polizia fa qualcosa.”
Nel mio mondo, popolato solo da me, Candy Candy e Pollyanna, funziona così.
Nel mondo reale, i nostri nuovi amici stanno già affiggendo un lungo manifesto col programma della serata.

Il mio ottimismo inizia a vacillare verso le 2.

Alle 3 uccido Candy Candy e Pollyanna.

Alle 4 mi sto piacevolmente intrattenendo al telefono coi miei amici della questura.

Alle 4.30 ho già esaurito tutte le torture medioevali che conosco e sono passata a quelle di Abu Ghraib. 


È vero: le mamme, col verbo occupare, ci fanno un sacco di cose, tranne che metterci la k:

si preoccupano, 
hanno spesso il telefono occupato, 
sono sempre occupate,  
a volte anche disoccupate, 
e poi, gridano “occupatooo!” in bagno, per avere un momento di privacy.




Però, caro popolo di okkupanti, anche voi avete qualcosa da imparare da noi mamme.


Vi piace dare l’idea di essere vestiti male? Pivelli! Avete mai visto una mamma che deve uscire di corsa dopo una notte insonne? Guardatela bene e capirete cosa intendo per vestirsi al buio.

Giovane rasta coi cappelli dalle mille treccine. Vuoi mettere, una sera sul divano con Marco che infila i suoi ditini nei miei capelli per rilassarsi? Quando ha finito il suo lavoro di gira-gira dalla punta alla radice, tu in confronto, sembri piastrato come un Emo.

A una mamma non serve occupare una casa per non dormire nel proprio letto: lettone, lettino, divano letto, divano… a volte anche pavimento. E tutto senza muoversi dal proprio appartamento. Pensavate di esservi inventati il nomadismo, quando vi basterebbe fare un figlio per agognare di dormire sempre nello stesso letto.

Se poi vi piace muovere ritmicamente la testa come tanti cagnetti sul cruscotto dell’auto, provate a fare un figlio per scoprire la sindrome da culla. Ondeggerete voi e qualunque oggetto vi capiti in mano, a qualunque ora del giorno o della notte. Avanti e indietro. Senza neanche aver bisogno dei vostri mille decibel sparati nelle orecchie.

Vivere in un posto con le scritte sui muri? In questo, caro popolo di okkupanti, vi battiamo noi mamme 10 a 1. La prossima volta che avete bisogno di un paio di graffiti fatti come si deve, fatemi un colpo di telefono che vi mando giù Marco con i suoi Giotto Bebè. Lui ha giusto lo stile da Centro Sociale.

Se la vostra passione è essere insultati da tutto il vicinato, mentre vi godete il vostro spassosissimo sabato sera: non c’è problema. C’è un modo molto più veloce: basta prenotare un tavolo in un ristorante e presentarsi con prole al seguito. Occhiatacce assicurate e, se vi impegnate solo un pochino, a metà serata arrivano anche degli insulti di un certo livello.

Vi piace incasinare un posto non vostro? Presto fatto: avete mai partecipato a una festina di compleanno di qualche bambino in età da asilo? Fidatevi di me quando vi dico che il casino che avete fatto non è neanche paragonabile a un coro di “tanti auguri a teeeeeee” cantato a squarciagola, davanti a una torta di Peppa Pig.

Amate gli ambienti un po’ zozzi e puzzolenti? Provate ad entrare in una stanza dopo un cambio cacca di quelli seri. Le vostre case occupate, in confronto, sembrano una sala operatoria.

Ecco perché una bella K ce la meritiamo anche noi.





domenica 26 gennaio 2014

Mamma dixit – Intercettazioni creative. Arrivano i nostri.


Se pensavamo di aver chiuso col Natale, ci sbagliavamo di grosso: è arrivato il bis. Tutto il parentado si è riunito in questa casa per un pranzo degno delle grandi occasioni e le possibilità che qualcosa andasse storto erano molteplici:



1-  La sottoscritta si è venduta come la Martha Stewart de noantri, millantando doti da chef con una certa supponenza.
2 -  La suocera della sottoscritta ha serie difficoltà a concepire di venire a pranzo da noi, senza portare con sé un intero frigorifero, con tanto di spina penzolante.
3 -   Possiedo un padre amante della cucina tout court: ama mangiare e cucinare. Nei suoi confronti nutro un’ansia da prestazione pari a un concorrente di MasterChef che si gioca l’eliminazione.
4 -   Accontentare mia suocera a tavola è un po’ come cercare di impressionare un non vedente a una mostra fotografica. Possibilità di successo limitate.
5 -  Mio suocero, invece, apprezzerebbe anche il cibo, se non fosse che i suoi problemi di digestione sono così tanti e sfaccettati, che cucinare per lui è come risolvere un sudoku.
6 - Mia mamma trinca. Completamente disinteressata ai fornelli, lascia l’arte culinaria agli altri e si concentra sulla tavola. Direi l’ospite perfetta, se non fosse che il suo amore per il cibo va di pari passo con quello per il vino. Niente di che, ma talvolta, può regalare dei finali pasto molto creativi.
7 -  Marco adora i suoi nonni in modo quasi morboso. C’è solo una cosa che ama di più: il cibo. Mettere nella stessa stanza tutti quattro i nonni e tanto cibo, può avere effetti devastanti.
8 - L’ultima volta che tutti quattro i nonni sono venuti a pranzo da noi, li abbiamo scioccati con la notizia che aspettavo Marco… a quel punto, nessuno si è più concentrato sul cibo. Ottima tecnica, devo dire. Questa volta, la novità più rilevante potrebbe essere le nostre tende nuove. Non proprio all’altezza.

Pensandoci bene: se hanno inventato un solo Natale all’anno, un motivo ci sarà.


Ma poi succede che:

Marco mi costringe a dedicare la mia mattina per riparare un suo disastro di cacca senza precedenti. Lava lui, lava i suoi vestiti, lava il bagno, lava gli asciugamani, lava me… e intanto il mio papà prepara un ragù da ristorante che mi salva la vita.
Così, mia suocera chiede il bis e mio suocero pretende due volte l’aggiunta di sugo: come giocarsi la cometa di Halley e un eclissi solare nello stesso giorno.


Allora mi viene in mente la prima cosa che mi ha detto Marco stamattina: 


“Tutti insieme, mamma Isa.”

“Tutti insieme, dove?”

“Tutti insieme a casa nostra, mamma Isa!” (e giù gridolini di giubilo)


Ecco cosa vuol dire: svegliarsi contenti come la mattina di Natale.

sabato 25 gennaio 2014

Mamma dixit – intercettazioni creative. Un letto affollato.


Lui: Stanotte ho fatto sesso con Kim Basinger.

IO: Mi fa piacere. E io che pensavo che fosse Marco quello tra noi, invece era la signora Basinger. Se lo sapevo, le chiedevo un autografo.

Lui: Non quella giovane… quella un po’ stagionata, dei tempi di L.A. Confidential…

IO: Non ricordo di averti chiesto i particolari.

Lui: …comunque si tiene gran bene, per avere gli anni che ha.

IO: Era un sogno. E-ra u-n so-gnoooo. Svegliatiiiii!



Lui: Potresti scriverlo sul blog.

IO: E perché dovrei fare la figura della cornuta virtuale?

Lui: Perché non sai come è finita: le dicevo che volevo tornare da te.

...

...

Esistono tante sfaccettature per un lieto fine, ma questa proprio non l’avevo mai sentita. Mi convinco a considerare il lato positivo:

Io vs Kim Basinger: 1 a 0.








mercoledì 22 gennaio 2014

Pugni in faccia e denti da chihuahua.


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Il fatto che un claim abbia senso logico, non garantisce che esso funzioni. (Bill Bernbach)
O anche…
3 cose che ho giurato di non dire mai a mio figlio. E che lui mi ha detto per primo.



1- Te lo dicono ancor prima di partorire: per essere un buon genitore non devi essere autoritario, ma autorevole. Non devi dare ordini, ma dare il buon esempio. A nessuno piace essere comandato, ma tutti amiamo seguire un buon leader.
Elementare quindi. Mica tanto.

La prima cosa da non dire mai è la frase su cui i nostri genitori hanno basato tutto il loro impianto educativo: “No, perché no!”
Brutta, inefficace e despota: già al corso pre-parto ti dicono di cancellarla dal vocabolario. E così ho cercato di fare.

Mi sono impegnata così tanto, che alla fine Marco mi ha preceduto.

Ieri al parco:

                       Io: Andiamo a casa che è tardi.
Marco: No, mamma Isa.
                        Io: Dai, scendi dallo scivolo e andiamo…
Marco: No, no.
                        Io: mantengo la calma, mantengo la calma… E perchè no?
Marco: No perché no. Mamma Isa. E basta.

Era nella mia pancia, ma non ha sentito niente di quella famosa lezione al corso pre-parto.


2- Altro tabu di cui la mia generazione non ha mai beneficiato più di tanto: i bambini non si picchiano mai. Per nessun motivo. Mai!

Un buffetto sul sedere? No.
Uno schiaffetto sulla mano? No, no.
Un colpetto per fargli capire che ha sbagliato? Nein!

Sono d’accordissimo, ma ho un dubbio: non è che tutte ‘ste regole le ha scritte chi di figli non ne ha? Perché, se è vero che spesso ti fanno commuovere con la loro dolcezza, a volte, i bambini sanno provocare più di un no-tav davanti a uno schieramento di polizia in assetto anti-sommossa.

Allora come si affronta un capriccio? Ti mordicchi un po’ le nocche, respiri profondamente, stringi forte un asciugamano tra i denti e cerchi di resistere all’irresistibile voglia di tirargli un calcio rotante alla Chuck Norris.

Poi, una sera, succede che sono tranquillamente al telefono, arriva Marco con aria serena. Si avvicina come niente fosse, e mi assesta due pugni in faccia. 
Adesso che si fa?
Gli chiedo con calma cosa sta facendo e lui serafico risponde: “Pugni in faccia a mamma Isa.”
E giù le risate.

Senza regole è tutto più semplice.


3- Un’altra cosa che ho letto su qualche libro di pedagogia è di non mordicchiare i nostri frugoletti. Anche se solo per gioco. Si dice, infatti, che questa pratica inneschi una catena di morsicate che, negli anni a venire, porta inevitabilmente qualcuno al pronto soccorso: la mamma, un compagno dell’asilo, la maestra, un malcapitato sul tram…

La regola è semplice: se non vuoi ritrovarti un figlio azzannatore, cerca di non morderlo tu per prima.

E anche in questo caso, la cosa sembra facile, ma poi tanto facile non è. Soprattutto per chi mette al mondo un figlio come il mio: un burrosissimo ammasso di cosciotte, guance, pieghe e pieghette, piedi paffuti e chiappette a forma di pandoro. Ma tanté, se non bisogna usare i denti, resisterò.

Ma ecco che, anche in questo caso, l’allievo ha superato la maestra. E di brutto.

Sto cucinando e sono tranquillamente sovrappensiero, quando all’improvviso sento una scossa sulle chiappe. Mi giro di scatto e sotto di me c’è Marco che, con la bocca ancora aperta, ride di gusto e mi dice: “Gnam, mamma Isa”.

Ora: che il mio sedere sia da mordere… lo prendo come un complimento. Ma il segno rosso sulle chiappe, come se mi avesse morso un chihuahua, quello no! 

martedì 21 gennaio 2014

Uno sguardo vale più di mille parole.


Ho visto troppe buone cause fallire per mancanza di competenza nel comunicare. (Bill Bernbach)

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Marco sa parlare come un bambino della sua età. Né più, né meno.
A volte fa interi discorsi che capisce solo lui. Altre, mi stupisce con risposte alla Gassman.

I bambini sono così, quando un adulto prova a parlare come loro, proprio non ci riesce. Non fa ridere nessuno. Imitarli è impossibile: questo è l’unico caso in cui vale solo l’originale. Con buona pace di tutta la pirateria, che riesce a farti una borsa di Gucci ma non riuscirebbe mai a contraffare un bambino.

Ogni cucciolo d’uomo ha i suoi punti di forza e ogni genitore pensa che il modo di parlare di suo figlio sia il più simpatico al mondo. Meglio di qualunque filmato trovato su You Tube, meglio di qualunque pubblicità, meglio di qualunque attore di Zelig, se solo esistesse l’edizione under three.

Mio figlio è un one-man-show.

Mio figlio potrebbe già fare il protagonista di qualche commedia di Hollywood, peccato che l’inglese non lo mastichi bene.

Ah, il mio piccolo portento… quest’anno, a Natale, ha fatto uno sketch tutto suo, con la regia di Mel Brooks


La verità è che, alla fine, noi genitori siamo il pubblico più bello che ci sia. Loro possono propinarci una scenetta all’altezza del peggior Boldi e noi giù a ridere come matti. È così: non aspettiamo altro.

Marco fa una cosa particolarmente divertente, nel fluire delle sue poche parole. Quello di cambiare magistralmente (dico io) la vocale iniziale. Basta poco, perché il risultato suoni così bene, che anch’io ho smesso di pronunciare alcune parole nel loro banale modo corretto. (quando verrò richiamata da qualche maestra per probabile dislessia, smetterò!)

Alcuni esempi:

La sua amata camomilla è la mammomilla… d’altronde, è o non è la sua mamma a preparargliela?!
La Luna è stata per molti mesi, la Tuna.
Lo zio è stato promosso a dio.
La prugna, la trugna.
Il papà, che chiama Guidone, è diventato Bidone.
Anche la frutta ha dovuto abbandonare la sua f per una più simpatica t. Ed è diventata la trutta.

Ieri pomeriggio, stavamo giocando in una piccola piazza pedonale. Al centro c’è una fontana e in mezzo a questa fontana, spicca una scultura di bronzo, un po’ stilizzata. Sembrava un uomo che si allunga a prendere qualcosa.



Marco: “Cos’è mamma?”

“Un uomo nudo”, gli rispondo.

Marco: “Un uomo?”

“Eh direi di sì, a vederlo così… ma leggiamo un po’ cosa c’è scritto su questa targa.
Ah ecco vedi: c’è scritto “Il dio Pan è morto.”



Nella mia profonda ignoranza, non ho pensato neanche per un secondo di aver placato la sua curiosità, visto che non avevo placato nemmeno la mia. Però speravo di averlo annoiato a sufficienza da farlo desistere.

Invece no.

Secondo voi, in mezzo a quella piazzetta - per fortuna poco affollata - in cosa può essere stata tramutata quella P iniziale di Pan?

Ma che velocità! Avete capito benissimo.

Anche Marco deve aver capito una cosa importante: la grande differenza tra una P e una C. E non ho nemmeno dovuto sprecare tante parole, è rimasto incenerito dallo sguardo della sua mamma. 


sabato 18 gennaio 2014

Mamma dixit – intercettazioni creative. Il virus.


Ehi tu, sei tornato anche quest’anno?
Non ci mancavi affatto, sai? Ma per niente proprio.

Ti immagino già a sfregarti quelle zampette che tieni sul davanti e che muovi come una mosca che si contorce su una cacca.
Ma tu sei peggio di lei, perché lavori nell'ombra e non fai vedere che te la intendi con quella cosa puzzolente, anche se siete parenti stretti. Lo sanno tutti.

Ti immagino, ad aspettare il momento giusto: dopo le Feste (dove ti sarai ingrassato per bene anche tu), hai aspettato questo tempo qui, a metà tra Seattle e Giacarta, e la gente che si stringe bene sui tram e si butta addosso quel bell’alitino pieno di te.
Sì, perché uno non lo sa che stai già lavorando nel suo intestino. Te sei subdolo, ci fai stare bene fino a un secondo prima, in modo da poterti spargere senza problemi. Ma dopo mezz’ora… patatrac! Il nostro migliore amico è già la tazza.

Ti immagino come un verme bitorzoluto, con tante zampette sottili, come il cattivo di Monster&co., molliccio e un po’ peloso, con la faccia sempre messa di traverso.




Ehi, con te non ho ancora finito!



Perché te la prendi coi bambini, eh? Facile vero? Non piace a nessuno attaccarsi a qualche ansa intestinale di un camionista barbuto di 140Kg e poi restare a fargli compagnia in bagno, mentre finisce di evacuare la sua ultima zuppa di fagioli.

È molto più facile entrare in uno stomachino pieno di filetto di platessa e mela grattugiata e renderlo, in poco tempo, una dirompente arma chimica di distruzione di massa. Che neanche la bambina dell’esorcista sarebbe stata capace di tanto.

E poi, vogliamo parlare dei tuoi tempi comici? Che fanno ridere solo te, ovviamente.
Non ti piace il giorno, roba da principianti. Tu preferisci le piccole ore notturne. Il momento più bello per raccogliere pezzetti di cena e fare un cambio lenzuola non programmato.
Tanto per essere chiari: un week end a Parigi, una festa a sorpresa, un aumento di stipendio, i saldi, un bacio… queste sono quel genere di cose che a noi umani piace ricevere senza preavviso. TU NON SEI MAI UN OSPITE GRADITO!

Con te, un Moment o una Tachipirina, un’Aspirina o un Aulin sono acqua fresca. Non servono a nulla.  Con te, tutti i medici e i farmacisti, scuotono la testa. Non c’è primario o specialista che tenga.

“Mi scusi, sto malissimo. La sto chiamando direttamente dal water. Sono un flusso continuo di cacca e vomito. Mi può consigliare qualunque cosa, anche illegale, per avere un po’ di sollievo?”

“Eeeeeh, signora mia, è quel brutto virus che sta girando.”

“Sì appunto, le chiedevo qualcosa per fermarlo. Con me si è già fatto un bel po’ di giri e sarei stanchina…”

“Mi spiace ma non c’è nulla da fare. Al massimo dei fermenti, appena smette di vomitare. Comunque, non si preoccupi, dura solo 24 ore!”

Ma che gli hai fatto tu a ‘sti dottori??? Sono tutti remissivi. Con te diventano accomodanti: 
“Alla fine, dai, dura solo 24 ore”.

“Ho capito, ma sono 24 di merda, però!”

E poi ti odio perché ti sei montato la testa. Una volta ti chiamavano con definizioni al limite dello sproloquio: cagotto, squaraus, cacca-che-corre, cagone, cacca liquida, cagariola, mossa di corpo, sciolta, cacca molla… adesso ti dai un tono e, nel cartello affisso all’asilo, c’è scritto: “si sono verificati casi di gastroenterite acuta”. 
Prima che ti pronuncio per esteso, ho già fatto la cacca tre volte!

È come se per la varicella scrivessero: “Simpatiche fragoline hanno attaccato l’asilo”. O, per la parotite: “Oggi è arrivato Dumbo a conoscere i bambini”. O ancora, al posto della scarlattina: “C’è stata l’invasione degli gnomi con la lingua color lampone”.

Ma dai! Non ci casca più nessuno, carino. 
Puoi farti chiamare anche cioccolato, ma quello che ho pulito stanotte non era certo un Profiterole! 


mercoledì 15 gennaio 2014

Un bagno nel bidè.


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È sera. Sto cucinando e arriva Marco.

Marco: “Mamma Isa, tanto bene”.

Io: “Anch’io, cucciolo”.

Passetti veloci lo riportano di là.

Passano pochi minuti.

Marco: “Mamma Isa, tanto bene”.

Ahia, siamo già a due: due indizi, fanno una prova.

Io: “Anch’io... tutto a posto?”.

Sparisce di nuovo.

Nei miei pensieri inizia a insinuarsi un brutto presentimento: non lo sento, non lo vedo e mi ha detto due volte tanto bene…

Torna Marco trotterellando.

Marco: “Tanto bene, Mamma Isa.” 

E mi si abbarbica alle gambe.

Io: “Anche la mamma ti vuole bene ma… hai le manine bagnate???”.

Marco intanto scappa via di nuovo.

Mi asciugo velocemente le mie (di mani) e lo rincorro.

In bagno scorre l’acqua nel bidè, un classico.

Marco è in camera sua, con un po’ di giochi in mano: un libro, una macchinina, alcuni pezzi di lego, come se stesse facendo ordine. Invece si dirige svelto, svelto verso il bagno. Quindi dritto verso il bidè e… oooooplà! tutti dentro, insieme a una palla, un peluche e un mostricciattolo vinto coi punti Esselunga. Un bel bagnetto di gruppo.

Marco: “Ecco Mamma Isa: puliti!”

Eh no carino. Sei piccolo ma non me la fai. È inutile che mi dici quella parolina lì! Lo sai che è una delle mie preferite. ("Marco, pulisci lì/pulisciti le manine/facciamo il bagnetto che poi sei bello pulito…") E poi, cosa sono quei tre “ti voglio bene” di fila???
Come la mettiamo? Vuoi fregare tua madre?

Sì. 

Mi basta uno sguardo per capirlo: mi ha fregata.

Niente funziona meglio di un rivestimento romantico su un movente egoista. (Bill Bernbach)

Questa volta, Marco si è travestito proprio bene.

Mi arrendo: “È vero, avevano proprio bisogno di lavarsi un po’. Gli hai fatto anche uno shampoo?”.