martedì 5 agosto 2014

Malinconia.

“Ricordati di dimenticare Lampe” (Immanuel Kant)

-48


La malinconia è una cosa strana. 
Ti prende sempre mentre stai facendo altro. Arriva e non chiede permesso.



Conosco tanti tipi di nostalgia: di posti e di persone. Anche di momenti. E questa è la mia preferita, perché non fa male. Come disse il Poeta molto meglio di me… è dolce naufragar in questo mare.

Più che altro, hai presente il bagnasciuga? Quando il mare ti fa il solletico, senza perdere mai il suo ritmo.
Ecco, a volte la malinconia mi fa un po’ di solletico, mi tiene lì, immersa nei miei pensieri, che mi sembra anche di poterli toccare questi pensieri, così pesanti e vivi. Poi arriva la solita pallina sfuggita a qualche racchettone impazzito e addio al mio dolce naufragare…

Ma la nostalgia vera, di solito arriva come un pugno. Non si è mai pronti.
Marco ha già iniziato da tempo le sue vacanze e sembra che se la stia cavando bene lontano da mamma e papà.

Ma la vera domanda è: 
mamma e papà come se la passano 
senza il loro centro gravitazionale?

La prima cosa che ho fatto quando è iniziata la nostra luna di miele è stata una bella lista dal titolo: “cose che ho sempre rimandato”.
Sopra ci ho scritto, in ordine sparso: nomi di amici da vedere, puntate delle mie serie preferite lasciate a metà. 
Parrucchiere, estetista e qualche visita medica… che non si sa mai.
Spese da fare, lavoretti casalinghi e bassa manovalanza da smazzare qua e là.
Quando mi sono appuntata anche: “cambiare smalto piedi martedì” ho capito che la gestione del mio tempo libero stava diventando un lavoro, così ho mollato il colpo.

Ma l’ebrezza del ragazzino che esce per la prima volta da solo, non dura mai molto.
Eccoci quindi sul divano, due genitori orfani, nella serata libera dal nostro tempo libero.
A mandarci foto da un telefono all’altro, alla ricerca di quella in cui Marco ha la sua espressione migliore.

Ecco, questa nostalgia non passa dalla testa. Se ci penso, è evidente che stare da soli ha solo un sacco di vantaggi. E fa bene pure all’autostima, perché riesco a fare tutto, e ci metto pure la metà del tempo.

Il fatto è che questa nostalgia si parcheggia direttamente nella pancia.
Quando meno me l'aspetto, sento quella fitta, come quando ho lo stomaco vuoto. Ma lo stomaco sta bene.
Allora cosa non va? Perché la fitta non passa?
Alla fine, mi si pianta davanti agli occhi una scena.

È domenica sera. Marco sta ballando e sa che è arrivato il momento di salutarci. Fa finta di niente: a lui i saluti non piacciono. Soprattutto se deve salutare mamma e papà.

Rompo il ghiaccio: 
“Allora, la mamma va. Ci vediamo presto-prestissimo. Fai il bravo coi nonni”.

Lui balla e non guarda. Balla e spera che sia già arrivato il momento di rivederci.
Io però voglio che si accorga del saluto perché non mi piace fregarlo. So che offende anche lui essere trattato da bambino.  

Si ferma un attimo e mi guarda tutto serio:
“Va bene mamma. Tu a lavorare. Io ti aspetto qui”.
Poi mi manda un bacio coraggioso. Senza nemmeno una lacrima.


E alla fine mi accorgo che, tra tutte le cose scritte sul mio promemoria, 
quella che ho fatto più spesso è aspettare 
di rivedere Marco.



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