sabato 11 gennaio 2014

L’imprevisto.




Ogni valutazione del cambiamento sociale deve tenere conto di diversi fattori. Gli incidenti imprevedibili sono il più importante di questi fattori. (Bill Bernbach, citando il sociologo Daniel Bell)

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Parliamo di cambiamento sociale e di incidenti imprevedibili. Di imprevisti, insomma.

Marco non è certo stato un incidente di percorso. Cercato e voluto, è arrivato pure in anticipo sulla data stabilita. Certamente, non era stata stabilita da lui. Ma nella sua breve storia, un’inaspettata deviazione, c’è stata. Complice un ginecologo un po’ precipitoso, o forse più miope che precipitoso, Marco doveva essere Matilde.



Solo per un mese. Successivamente, una foto che lo ritraeva tranquillamente a gambe aperte nel mio utero, ha fugato ogni dubbio. 
Quindi, solo per un mese, Marco è stato Matilde.

Non parlerò di quello che è successo durante quei 30 giorni scarsi, ma di quello che è successo a partire dal trentunesimo.

Pensavo di essere stata io a subire di più il brusco cambiamento, piangendo a dirotto dopo l’ecografia e cancellando, in pochi minuti, proiezioni future di anni: io e Matilde che giochiamo, facciamo shopping, ci confidavamo come due vecchie comari, guardiamo Dirty Dancing…

Decisamente no!

Non avevo fatto i conti con i due maschi alfa della famiglia: i due nonni. Per loro, il cambiamento sociale, per parlare alla Bernbach, è stato profondo.

Partiamo da mio padre. Già definito più volte: un misogino circondato da donne. Un esercito composto da una mamma, una sorella, una moglie, tre nipoti e una figlia. Se non basta, pure il cane è femmina. Alla notizia che non sarebbe stata Matilde a farlo diventare nonno per la prima volta, bensì Marco, è rimasto, lì per lì, attonito, allibito. Per poi, confidarmi il suo immenso orgoglio tramite sms: “Finalmente qualcuno che riesce a fare un maschio, in famiglia.” Sì, vabbè, anche l’orgoglio è espresso con parole sue, ovviamente…

Mio suocero, già abituato a un rapporto tra uomini, non è mai sembrato particolarmente colpito. Ma siamo sicuri di aver visto brillare qualcosa nei suoi occhi, al pensiero che il suo cognome non si sarebbe perso tanto facilmente. Quello che si è limitato a dire è stato che era ora di smetterla con salamelecchi e mielosità rivolti alla “pancia”, lì dentro stava crescendo un uomo. Perbacco!

Il giorno che Marco è nato, erano tutti e quattro in sala d’attesa, insieme ad altri gruppi composti da quattro nonni, sparsi nella stessa stanza. Nessuno si preoccupava di dare troppe notizie e quindi hanno deciso di fare da soli. Mio padre, timoroso delle regole ma soprattutto delle temutissime ostetriche, non voleva avvicinarsi al vetro da dove si potevano vedere i nuovi arrivati. Mio suocero, invece, impavido e contrario a qualunque tipo di restrizione, si fa largo nel corridoio, si mimetizza tra un gruppo di medici e, come James Bond, arriva dritto, dritto, davanti alla nursery senza essere notato. Trascinandosi dietro anche mio padre.

Per fortuna non hanno potuto sbagliarsi. C’era solo una culletta, e il cartello con: “ è nato Marco” non lasciava molti dubbi. Chiarito a gesti che si trattava proprio del “loro” Marco, sono partiti i primi commenti.

“Si vede già che è intelligente.”

“Da come muove le mani.”

“E poi guarda le orecchie. Mai viste orecchie così perfette.”
(Marco, non preoccuparti, se nella vita qualcosa andrà storto, potrai sempre vantarti delle tue orecchie).

“E che bello. Molto più bello di qualunque altro bambino.”
(Da notare che aveva una testa allungata a cono ed era di colore violaceo).

Insomma, Matilde era stata dimenticata. Rimossa, praticamente mai esistita. Adesso c’era Marco. Quel meraviglioso, inaspettato nipote che avevano atteso… anche quando pensavano fosse una femmina.

Ripenso spesso a quella che, ancora, considero la foto più bella di mio figlio. Due gambine riprese da sotto insù, come fosse seduto sopra una sedia della Kartell trasparente, il cordone ombelicale in bella vista e poi quella prova inconfutabile che Matilde, magari, sarebbe stata mia figlia. Ma non subito.

Quel giorno, posso dire di aver conosciuto per la prima volta Marco.
E certo, non l’avevo previsto.


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