venerdì 14 marzo 2014

Mamma dixit – Intercettazioni creative. Meglio soli o mal accompagnati?



Il Parco. Questa realtà sociale a me, un tempo, sconosciuta ma che, da quando è arrivato Marco, è diventata così familiare. In poco più di due anni sono diventata una vera esperta, un’assidua frequentatrice di parchi di piccole, medie e grandi dimensioni.

Ed è proprio dentro a queste aree che si creano amicizie, raccontano storie, intrecciano avventure. Tutte tra persone che, forse, se non avessero avuto dei figli, non si sarebbero mai incontrate.

Al Parco ci scopri i VIP, ma soprattutto le VIP. Mamme con metà dei tuoi anni che, a tre mesi dal parto, sembrano uscite da un centro benessere di ultima generazione, dove ti regalano anche dei centimetri di coscia in più. E qui le mamme, intese come quelle normali che hanno ancora un po’ di pancetta ben dopo il terzo mese, si scatenano in commenti e commentini che poco hanno a che vedere con lo spirito di squadra e la solidarietà femminile.

L’universo maschile tra panchine, scivoli e altalene è rappresentato dai papà. Che sono anche i più notati: sono pochi e quindi hanno tutti gli occhi addosso. È come se mettessimo una donna in una caserma!
Le tipologie di padri al Parco sono, tutto sommato, due.

1- La prima è quella del padre giovane e alternativo, che magari fa un lavoro creativo che gli permette di avere del tempo libero da dedicare ai figli o, meno poeticamente, è stato licenziato e quindi ha veramente tanto tempo per stare con la prole. È un uomo giovane, sportivo che si diverte davvero con i suoi bambini e questo lo mette ancora più al centro dell’attenzione di tutte le donne presenti. Tate comprese.
2 - Il secondo tipo di padre parchettaro è quello che proprio non ha potuto dire di no. La moglie lo ha incastrato e si è fatta mettere un impegno di lavoro proprio in orario post scolastico. Giacca, cravatta, 24 ore, tablet, palmare e auricolare. Si piazza in un angolino defilato, sperando che nessuno lo identifichi come il padre di qualche mocciosetto.
Una volta, ho avuto il piacere di incontrarne uno: sua figlia stava scarnificando un piccolo cespuglio fiorito con un bastone usato tipo ascia. Si accaniva contro questa rara forma di natura verdeggiate con odio e arcaico rancore.

Io: Ciao bimba, non pensi di fare male a questa povera piantina?

Lei: No! E comunque non sono affari tuoi.

Io: Mh e dove è la tua mamma?

Lei: C’è il mio papà. È quello là. E indica un uomo nel mezzo di una video chiamata dal suo smartphone.

Io: Aaaah, capito. Accanisciti pure, ché c’hai i tuoi motivi!

L’ultima specie vivente, in età post scolare, presente al Parco, è quella multietnica, variegata, poliglotta popolazione di tate. Giovani, vecchie, accomodanti, sorridenti, severe, indifferenti, materne, amorevoli… insomma, tutto un mondo di donne dentro al mondo delle mamme!
Una cosa divertente, e molto utile, che ho visto fare alle tate è incentivare i bambini a parlare in inglese. Ma questo, a volte, genera delle conversazioni davvero divertenti, tra chi ancora non ha la totale padronanza nemmeno della propria lingua madre.

What’s your name? Ha chiesto un giorno un bambino a Marco.

Focaccia grande così. Ha risposto lui per non sbagliare. E poi hanno continuato a giocare. Probabilmente, pensando che parlare l’inglese non è poi così difficile come si dice.

In questi giorni, l’ho già detto, Marco si è ammalato in un susseguirsi di malanni e fastidi di stagione che ci hanno impedito di andare al Parco con la nostra solita frequenza.
In uno dei tanti messaggi che mi sono arrivati, nei quali ci si interrogava sulla nostra prolungata assenza, uno mi è piaciuto particolarmente.
Diceva semplicemente: ci siete mancati oggi al parco.


Strano come un posto che una volta consideravo solo di passaggio, adesso mi faccia sentire a casa.





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